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Patente a punti o a crediti: una misura che rischia di far ricadere sui lavoratori le responsabilità dei padroni

Roma -

Al Ministero del lavoro continuano i lavori di approfondimento di quella parte del decreto ministeriale n.19 del 2 marzo dedicato ai temi della salute e della sicurezza sul lavoro. In particolare, nell’incontro di lunedì 18 marzo, si è entrati nel merito della cosiddetta patente a crediti istituita con l’articolo 29 dello stesso decreto.

La logica che sottende alla misura è quella di spingere le aziende che operano nei cantieri temporanei e mobili a dotarsi di alcuni requisiti indispensabili per ottenere il rilascio della patente: in particolare, l’effettuazione di corsi di formazione sulla sicurezza e il possesso del documento di valutazione dei rischi. Nel caso di accertamento di violazioni, di infortuni o di infortuni mortali, si arriverebbe ad una decurtazione dei crediti (la base di partenza è 30) che potrebbe portare fino al caso limite della sospensione delle attività, lì dove venissero accertate le responsabilità del datore di lavoro.

Il meccanismo che si sta introducendo è discutibile sotto diversi profili. Innanzitutto, ponendo al centro del sistema sanzionatorio l’azienda nel suo complesso, fino alla possibile sospensione delle attività, si coinvolge tutto l’insieme dei lavoratori di quell’azienda nelle conseguenze delle inadempienze del responsabile della sicurezza, che è e rimane il padrone.   La sospensione delle attività dell’impresa avrebbe immediate ricadute su tutto il personale, che potrebbe al massimo far ricorso agli ammortizzatori sociali, subendo comunque le conseguenze di responsabilità non sue. Questa logica non potrebbe che rafforzare quel sentimento di complicità nel personale (e spesso nelle stesse vittime degli incidenti) che già oggi porta a nascondere tanta parte degli infortuni sul lavoro per paura di ricadute negative sulla tenuta dell’azienda. Il ricatto del posto di lavoro è la vera causa dell’abbassamento delle tutele e questo sistema finirebbe per sancire per legge un sistema di omertà collettiva al fine di salvare il posto di lavoro.

La prima condizione affinché l’introduzione della patente a crediti non si traduca in una socializzazione delle responsabilità e delle ricadute economiche e sociali su tutto il personale è quindi la garanzia che, in caso di sospensione delle attività, il padrone debba farsi carico del 100% delle retribuzioni per tutto il periodo di fermo.

In secondo luogo, non essendoci un rafforzamento dell’azione penale nei confronti dei padroni responsabili degli omicidi e/o delle lesioni gravi o gravissime (vedi introduzione del reato di omicidio sul lavoro), si procede nella direzione di un sistema che continua a garantire l’impunità e scarica sulla collettività (ammortizzatori sociali) e sui lavoratori dell’azienda gli effetti dell’azione sanzionatoria.

Al contrario, come ha ribadito più volte USB al tavolo ministeriale, serve rafforzare il potere di denuncia dei lavoratori attraverso il potenziamento del ruolo dell’RLS e delle strutture sindacali aziendali, mettendo queste figure al riparo dalle rappresaglie padronali e consentendogli di utilizzare le procedure d’urgenza, come previsto dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, sulle materie della salute e della sicurezza.

Il governo si difende al tavolo sostenendo che la proposta della patente è venuta dai confederali. Cgil e Uil controbattono affermando che la loro proposta era ben diversa. La Cisl si limita a scodinzolare dalla parte del governo. Le associazioni datoriali fanno ostruzionismo per cercare di rendere il più inoffensivo possibile il decreto. La conclusione sarà quella di un provvedimento inutile che lascerà la situazione inalterata.

Unione Sindacale di Base